di Raffaele Bonanni
ROMA (ITALPRESS) – Desta non poca perplessità l’iniziativa portata avanti sin qui dal segretario della CGIL, Maurizio Landini, di promuovere uno sciopero generale in un momento così delicato, peraltro senza il coinvolgimento dell’intero fronte sindacale. Non è trascurabile l’innesco prestato che trascina con sé ogni violenza che si sta delineando nelle piazze nelle piazze italiane, ormai provocata probabilmente da antagonismi pilotatati anche da soggetti extra nazionali sempre interessati alla confusione in Europa. La decisione di utilizzare la sigla come piattaforma di protesta politica, anziché come presidio del lavoro, appare incomprensibile e rischia di offuscare la credibilità di un’istituzione che, insieme a CISL e UIL, ha scritto pagine decisive della storia sociale ed economica della Repubblica.
La memoria del ruolo svolto dalla CGIL e dagli altri sindacati confederali è ancora viva: capaci di affrontare il terrorismo, di difendere la democrazia e di proporre, con spirito riformista, soluzioni nei momenti più critici del Paese. Oggi invece, spostando il baricentro su rivendicazioni estranee alle esigenze concrete dei lavoratori, si corre il rischio di offrire sponda agli opposti estremismi. Una scelta fuori tempo e fuori luogo, che rischia persino di favorire chi, a livello internazionale, trae vantaggio dal conflitto e dall’instabilità.
Non sorprende che la Russia di Putin osservi con interesse ogni occasione utile a distogliere i riflettori dalla propria aggressione in Ucraina. Mentre in Italia si consumano queste contraddizioni, dal Medio Oriente arrivano timidi ma significativi segnali di speranza. Il Presidente degli Stati Uniti, con l’assenso dei principali paesi arabi, spinge con determinazione verso una soluzione del conflitto che da decenni martirizza Gaza. Il piano in discussione – cessate il fuoco da parte di Israele, disarmo ed emarginazione di Hamas, affidamento della Striscia a un’autorità internazionale guidata da personalità tecniche palestinesi e vigilata dai paesi arabi – rappresenta forse l’unica possibilità concreta di uscire dal pantano di sangue che insanguina la regione.
Nonostante le resistenze di Hamas e la riluttanza di Netanyahu, questa ipotesi riduce lo spazio d’azione dei fautori di un “nuovo ordine” ostile alla libertà e alla democrazia, come l’Iran e i suoi alleati palesi e occulti. In questo scenario complesso, le forze politiche italiane hanno mostrato in Parlamento senso di responsabilità e consapevolezza, riconoscendo la pericolosità di una crisi che tocca da vicino l’Europa, anche sul piano strategico dell’approvvigionamento energetico.
Proprio per questo, la scelta della CGIL appare ancora più incomprensibile. In un momento in cui servono coesione, lucidità e sostegno a ogni sforzo di pace, trascinare il sindacato in una protesta destinata a rafforzare le posizioni più radicali non giova né ai lavoratori né al Paese. È auspicabile, invece, che la rappresentanza sociale si ricomponga nella sua missione originaria: presidiare il lavoro e, con la forza della propria autorevolezza, sollecitare il sistema politico ad abbandonare sterili contrapposizioni per occuparsi seriamente di riassorbire quel disagio che puntualmente emerge nelle piazze. Perché solo se ciascuno tornerà al proprio ruolo – i sindacati al lavoro, i partiti alla politica – sarà possibile dare voce alle vere esigenze degli italiani e contribuire, con coerenza, alla causa Europea e della stabilità internazionale.
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