(Articolo di Enrico Rossi su Vicenza che brucia, l’incendio del 18 aprile 1945, da Vicenza In Centro n-5-2025, periodico dell’associazione Vicenza in Centro aps).
Il 18 aprile 1945 abitavo in Contrà do Rode al civico 31, ultimo piano, praticamente in “granaro” e soffitta. La mamma aveva preparato il dolce della domenica pronto per essere messo nel forno della cucina economica, che era il fulcro della casa (vasca dell’acqua calda, “el canon coi bachetei” dove stendere la biancheria, i vari cerchi in ghisa per i fori delle varie pentole, ringhiera per appoggiare i vari arnesi, forno e fornetto, caldaia per la legna e cassetto per la raccolta delle cenere). Quella sera, verso le 20, oltre a me c’erano in casa mia madre e suo fratello Piero che, ferito in guerra, aveva un braccio ingessato. Improvvisamente suona l’allarme che ricordo come un maledetto e spaventoso urlo che provocava panico ed estrema agitazione in chiunque. Mio zio mi prende in braccio e grida a mia madre: “presto, movete, corri che sento che i riva …” e giù per 92 scalini dove si precipitano anche il Signor Demo con i suoi baffi a manubrio, la Teresa, la Signora Cabiatti, I Signori Toso, Geminiani e Visciani, la Prof.ssa Maretto (che sarà poi consigliera comunale del PSI ed amica di Sandro Pertini che farà i comizi in Piazza dal suo poggiolo). Di corsa per stradella Nodari davanti all’Albergo Vicenza e quindi in via Cavour davanti alla Meneghina. Fatti gli scalini di Palazzo Trissino, si attraversa il cortile ed in fondo a destra una porticina porta al sottoscala, costruito a volte dove c’era l’agognato rifugio. Il tutto di corsa ed al buio con il continuo spaventoso strepitare ululante delle sirene. All’interno di questa cantina (che sarà poi il locale caldaie del municipio) erano predisposte alcune panchine e sedie e due o tre lampade ad olio. Ben presto il locale sarà gremito di persone che a poco a poco ammutoliscono sentendo i tremendi scoppi che sembrano vicinissimi. Il pavimento del locale sobbalza paurosamente e le pareti tremano imbiancando i presenti di calcinacci ed intonaco. Alcune donne con il velo in testa recitano il rosario urlando le preghiere in proporzione agli scoppi ed ai rumori. Mia madre mi abbraccia forte e solo allora mi sento più sicuro. Quanto tempo sia passato non ho ricordo, ma quando viene dato il segnale di cessato allarme esco di corsa rincorso dallo zio Piero. Percorsi gli scalini in Contrà Cavour mi fermo di scatto perchè il cielo è tutto rosso mentre la Basilica crepita e lancia colossali lingue di fuoco verso l’alto. Le persone erano tutte ammutolite, sembravano automi.
Terribile il ricordo del rumore del legno che arde e lo strepitio delle lamine di rame che fondono e cadono. A tutt’oggi mi vengono ancora i brividi. Accompagnato in silenzio dai miei cari, ripercorro lentamente i 92 scalini ed a casa mia non c’è più il vano cucina crollato sino al terzo piano a causa degli spezzoni incendiari. Mia madre accompagnandomi nella camera, lato contrà Do Rode, mi dice: “doman to papà compra un’altra cusina e così faremo un altro dolse”. La vita continua e noi ragazzi “del Domo” già a fine maggio siamo a giocare con le “balete” in piazza dei Signori già sterrata tra cumuli di sabbia ed altro materiale edile, masticando le prime “cicche”, al gusto di chiodi di garofano, regalateci dai soldati americani.